domenica 9 ottobre 2011

the Rocks



Eccomi qui a mangiare un paninozzo "sporco" nel luogo dove alla fine del 700 James Cook sbarcò con un carico di deportati e soldati per fondare la prima colonia britannica nel Nuovo Galles del sud. Respiro un po' di storia, anche se recente.




Come al solito sono stravaccata su un prato, sotto una palma, circondata da ibis dal becco nero che mi tampinano per avere una briciola del mio panino.

Centinaia di persone passeggiano lungo il Circular Quay, è pieno di artisti di strada, in mezzo a loro un aborigeno che suona il didgeridoo, il mio primo incontro con un nativo.





The Rocks, una volta quartiere malsano, pieno di topi, di borseggiatori e delinquenti, è ora luogo di passeggio tra bancarelle, negozietti e locali dove prendere una birra o qualcosa da mangiare.

Passeggio tra le bancarelle di artigianato ma non c'è niente di interessante, solo un tipo che vende insetti secchi, denti di squalo e qualsiasi cosa fatta con la pelle di canguro, anche le "palle" del canguro, vendute come bisacce portafortuna!






Non so se è peggio il rospo portamonete a cui hanno cucito una cerniera nella bocca, decisamente fetish.

Rifletto sul resto del mio paninozzo: più sono grandi le monete e meno valgono, i 50 cent sono enormi, i 2 dollari sono piccoli come le nostre monete da 20 centesimi.


Non potevo farmi mancare una visita all'Australian Museum dove ho avuto il mio primo incontro con le specie animali locali, tutte bestie pericolose e velenose!

Come museo di storia naturale non è granchè, ne ho visti di meglio in europa e in italia, ma almeno adesso so cos'è un wallaby e un kookaburra.



La cosa bella di questa città è la vita all'aria aperta, tutti escono a correre, andare in bici, pattinare.

C'è molta gente in giro, di tutte le razze, molti orientali, non c'è omologazione; i tipi più eccentrici che ho visto fin'ora sono i giapponesi di sicuro, sembrano usciti dai cartoni animati. Forse c'è un po' di omologazione tra gli Aussie; l'australiano "giusto" porta sempre le infradito di gomma, anche se c'è freddo, pantaloni al ginocchio e berretto calato sugli occhi, in genere è palestrato e tatuato e cammina come se stesse pestando le uova. Le ragazze australiane la sera sono in super tiro, taccate e minigonnate, anche se spesso non se lo possono permettere.

Ci sono tanti homeless e alcolizzati, ma ho visto ambulanze e camioncini di volontari portargli coperte e cibo. Il mio ostello è proprio accanto alla mensa dei poveri.




Ieri sera avevo un po' di paturnie di umore; passare da Milano dove ero circondata da un sacco di amici ad un posto dove non capisco quasi niente e dove le uniche frasi che dico sono per comprare da mangiare, si fa sentire. Credo che certe vibrazioni le persone le sentono e una giapponese dell'ostello è venuta ad attaccarmi pezza; voleva per forza aiutarmi a cercare la english school e mi ha tenuto su internet fino all'1 di notte; però mi ha svoltato la triste serata in solitudine, anche se capivo la metà di quello che blaterava; i giapponesi che non parlano bene inglese sono terribili, sillabano le parole e mettono vocali dove non ci sono, però sono estremamente socevoli, al contrario dei nordeuropei di cui l'ostello è pieno.

sabato 8 ottobre 2011

Sydney by night

Nonostante non ami molto l'urbanizzazione e la modernità non posso fare a meno di ammirare la baia di Sydney..nemmeno di notte!




camminando per Paddington

Non finirò mai di stupirmi del verde di questa città.
Ero andata a Paddington per fare un giro per il mercatino delle pulci e 100 m più giù mi trovo nel parco del centennale, 220 ettari di prato, roseti, stagni, ficus enormi, tutto ciò in pieno centro!!!


La cosa più bella è che i parchi qui non sono affollati, forse perchè ce ne sono così tanti e sono così grandi che non c'è l'effetto "parco nord" con code sulla pista ciclabile.
Per un europeo non inglese diventa un problema attraversare piste ciclabili o camminare sui marciapiedi, tutti vanno a sinistra anche i pedoni; finchè devo stare attenta ed attraversare la strada guaradndo prima a destra va bene, ma pensare di dover tenere la sinistra pure sui marciapiedi, sulle scale mobili della subway o sulle piste ciclabili ECCHECCACCHIO!!!!


Oggi non sono affatto rilassata, anzi sono particolarmente adrenalinica, sarà il muffin gigante pieno di gocciolone di cioccolato con cui ho pranzato, saranno i numerosi stimoli di colori dei fiori, profumi di eucalipto o della gente stravagante che ho incontrato per strada, sarà che oggi voglio vedere un sacco di cose, o forse è finito il jetleg ed è tornata la elena di sempre.
Qui il gestore dell'ostello mi chiama Eléna (alla russa) e quando mi saluta mi chiede sempre "how are you", come tutti qui del resto, nei negozi,nelle stazioni, nei locali, e io mi chiedo sempre se vogliono davvero saper come sto o devo dirgli solo "I'm well, I'm fine..", perchè se vogliono sapere davvero come sto potrei attaccargli una pezza per 1 ora cercando di spiegare in inglese quello che sento veramente.

Quando ho sentito parlare di vivibilità si Sydney pensavo ci si riferisse ai suburbs, invece anche in pieno centro ci sono quartieri con piccole casette a schiera storiche, con le loro ringhiere vittoriane, i loro cortiletti pieni di fiori e piante.


Queste sono chiamate "le case di marzapane"

Queste sono larghe quanto una macchina!
Ecco alcune immagini del mercatino storico di Paddington

venerdì 7 ottobre 2011

Sydney

Sono stranamente tranquilla da quando sono arrivata, niente ansia, anche se non capisco quasi nulla e faccio fatica a parlare; sarà che non ho orari o scadenze da rispettare, sarà che a differenza degli altri viaggi non ho fretta di andare a visitare la città e di ingozzarmi tutto subito o forse ho ancora il jetleg, fatto sta che sono le 10 e non sono ancora uscita a vedere la città nonostante già alle 8 ero sveglia.
Essere viaggiatore tira fuori l'animale sociale che è in te. Nonostante la scarsa capacità di comunicare in inglese si tira fuori uno strano modo di interagire facendo gesti, parole ammucchiate al posto di frasi e grandi sorrisi, credo sia questo il vero linguaggio universale.
Eccomi qui davanti all'Harbour Bridge sul molo dell'Opera House a fare foto a 2 ragazze di Los Angeles e farmi fare foto da un anziano giapponese con una reflex più grossa di me!
Andare in giro a caso come oggi, a piedi, senza una meta precisa mi mette una tranquillità insolita per essere in giro da sola in una metropoli lontana e piena di gente; una tranquillità esagerata che, insieme alla digestione di un panino farcito con carne macinata e cipolla, mi hanno fatto addormentare al Royal Botanical Garden su una collinetta di fronte alla Farm Cove da dove si gode la più bella vista della city.
Ho scoperto l'uccello che stamattina mi ha svegliato urlando come una scimmia... qui è pieno di pappagalli ovunque che spettacolo!!
L'ultimo volo di 10 ore è stato duro, mi facevano malissimo le gambe, sono stata tutto il tempo in dormiveglia, anche mentre guardavo il film; ormai niente più film in italiano, solo il film di Mr Bean riuscivo a capire.. :(
Faccio l'ultima terribile colazione con noodle cinesi e un uovo sodo marrone (non voglio nemmeno sapere perchè era marrone) e la mia gastrite è ormai una certezza.
All'aeroporto è la folla che come un fiume mi trascina dove devo andare; le pratiche qui sono davvero easy, mi timbrano il passaporto senza neppure vedere il visto.
Prima cosa compro una scheda vodafone, con annessa figuraccia per il mio inlgese, poi prendo il treno per il centro della città.
Sono a Kings Cross: è un brulicare di persone, di lungue diverse e volti.
arrivo a piedi al mio ostello, immerso in un boschetto di palme e aspetto 1 ora per fare il check in, il capo a quanto pare è andato a nuotare. E' un tipo sulla quarantina, pieno di tatuaggi e con un cagnaccio da punk a bestia. L'ostello è una sorta di casa su 3 piani, non molto pulito ma c'è un'atmosfera familiare. Pago, non mi legge il bancomat, per fortuna avevo fatto la carta di credito prima di partire.
La mia stanza è una doppia, anche se in realtà avevo prenotato una quadrupla; è un buco, non c'è l'armadio e i vestiti vanno attaccati al letto o messi sotto dentro delle casse di plastica
Dalla finestra entrano le foglie di una palma e ci sono sopra uccelli che strillano come scimmie.
Sono con una giapponese che non parla benissimo, così ci limitiamo a poche parole, soprattutto sono io che faccio domande su come fare o dove trovare certe cose.

giovedì 6 ottobre 2011

china world

Arrivata a Taipei in coma duro; ci sono ideogrammi ovunque, anche sulla tastiera del pc dell'internet point e questo è un problema..
Credo fosse l'aereoporto più silenzioso e pulito mai visto, in alcune sale d'attesa al gate ti facevano pure i massaggi rilassanti!
Circondata da un'infinità di cinesi mi domando se ci vedono bene con quegli occhi a fessura, poi noto che il 90% porta gli occhiali...

mercoledì 5 ottobre 2011

secondo giorno in volo

Dopo aver volato sopra infinite montagne spoglie sono sopra New Delhi, me ne accorgo dalla foschia grigia da cui emergono grattacieli e un tempio che sembra il taj mahal; man mano che l'aereo scende di quota per atterrare riesco a vedere le infinite baracche che si perdono nella giungla. Mi rendo conto di essere davvero in India quando vedo le hostess in sari, con infiniti braccialetti di vetro (sono bellissime) e i poliziotti con il turbante.
Atterro, panico. Non so dove andare, c'è confusione, mi metto in una delle tante code e a metà sento nella babele di lingue alcuni italiani che parlano di un ticket che davano all'atterraggio senza il quale non potevo passare il controllo. Cacchio!!!
Torno di corsa indietro e per fortuna trovo subito il banchetto dove lo facevano, mi rimetto in coda, ho paure di perdere il volo, manca solo mezz'ora; l'essere italiana non mi fa sentire in colpa e passo davanti facendo slalom tra i numerosi cinesi in coda.
Problemi al controllo del metal detector, mi hanno fatto entrare in una cabina per perquisirmi, ma arrivo al gate in tempo.
In coda conosco un prete italiano emigrato a Taiwan, è partito a 28 anni e non è più tornato; chissà perchè l'ho sentito così vicino..
Sul volo per Taipei sono di nuovo di fianco ad un ragazzo indiano, solo che questo è in abiti tradizionali, turbante, profuma di incenso e parla benissimo l'inglese. E' stato tutto il tempo a ridere guardando un film indiano, ero proprio curiosa di sapere cosa dicevano; io scelgo l'unico film in italiano (uno di Jim Carry).
Questa volta le scatoline colorate del pranzo nascondevano un menù indiano, riso speziato e piccante, accompagnato da un'insalata preparata con i 3 ingredienti che digerisco di meno: peperoni, cetrioli e cipolle yuppiiiiiii. Mi ha salvato la macedonia, anche se non ho capito che frutta era, mai vista in vita mia però era buona.